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Introduzione e unicità

La Biblioteca Malatestiana di Cesena è un capolavoro dell’arte e della cultura rinascimentale, straordinaria nell’ideale umanistico del suo ideatore Malatesta Novello, signore di Cesena, nelle modalità ideative che la produssero e in quelle che ne hanno favorito la conservazione pressoché perfetta dopo più di cinque secoli. Dei molti primati che le vengono assegnati, possiamo sintetizzare le unicità della Biblioteca Malatestiana nei seguenti punti.
Prima di tutto, è l’unica biblioteca umanistico-conventuale al mondo conservata pressoché perfettamente in ogni sua parte. La Biblioteca del Michelozzo per il convento domenicano di S. Marco a Firenze, anteriore – terminata nel 1444 – e suo modello, è stata rimaneggiata nel corso del tempo; delle altre che le seguirono, poco o nulla è rimasto.
Inoltre, fu tra le prime biblioteche pubbliche d’Italia – anche quella di S. Marco era stata aperta al pubblico, per volere di Cosimo il Vecchio – in un’epoca in cui la cultura era quasi chiusa negli studia delle corti e dei conventi e monasteri
Infine, con l’importante ruolo destinato alla Comunità, pur collocata in ambito ecclesiastico, si tratta di uno dei primi esempi di biblioteca civica, in anticipo di quasi due secoli su Rimini e le prime collezioni originatesi per iniziativa di privati.

 

Costruzione e inaugurazione

La Biblioteca Malatestiana di Cesena venne edificata forse dal 1447 e completata nel 1452. Fu inaugurata il 15 agosto 1454, su impulso del signore della città, Malatesta Novello. Questi realizzava con la sua “Libraria” il suo sogno di umanista bibliofilo, venendo nel contempo incontro alle esigenze dei locali Minori Conventuali, che nel loro cenobio necessitavano di una nuova e più grande biblioteca.
Sulla paternità di quella che la tradizione chiama anche Aula del Nuti, attribuendola al Matteo Nuti da Fano valente architetto militare, molto si è congetturato. La contemporanea edificazione a Rimini del Tempio Malatestiano, voluto da Sigismondo Pandolfo fratello di Novello, e la presenza colà di Piero della Francesca e soprattutto di Leon Battista Alberti (nella cerchia del quale figurava il Nuti) sembra poterne confermare le influenze sul progetto del fanese, anche se per nessuno dei due è attestata con certezza la presenza a Cesena.

 

Lo stile

Stilisticamente, sono di certo tipicamente albertiane alcune caratteristiche. Innanzitutto, il rigore stereometrico delle piante e degli alzati, con proporzioni del tre, e alcune innovative scelte costruttive per luce e arredo. La scelta dei colori – rosso del pavimento e delle semicolonne, bianco delle colonne, verde delle volte e delle pareti – che richiama l’araldica dei signori, è invece tipicamente di Piero. Ripresi, per contro, dalla scelta corposa e concreta della tradizione padana sono altri elementi. Ad esempio, l’uso del cotto (rosso/bruno) sia all’interno, nelle semicolonne, che all’esterno, il cornicione in terracotta, le finestrelle archiacute con contorni in marmo, le venti colonne in pietra locale, il colore verde dell’intonaco su pareti e volte.

L’iscrizione latina posta a lato del portale d’ingresso (MCCCCLII Matheus Nutius Fanensi ex urbe creatus Dedalus alter opus tantum deduxit ad unguem, ovvero “Nell’anno 1452 Matteo Nuti, nato nella città di Fano, come un nuovo Dedalo portò a compimento un’opera tanto grande”), assegna al Nuti il merito di aver portato a compimento (ad unguem) questo capolavoro, pur se rimangono molto probabili gli influssi – se non il disegno originale – dell’Alberti.
L’esterno è di grande semplicità stilistica, in cotto, con fronte orientale ornato da rosone con lapide dedicatoria al di sotto. Ai due lati maggiori si trovano le finestrelle archiacute contornate in pietra bianca, una delle quali, sul lato sud, sormontata da altra lapide. Il cornicione in terracotta, forse policromo, dall’elegante traforo a mensoline e semicerchi polilobati, è l’unica concessione decorativa esterna.
Sulle linee dell’interno, al contrario, molteplici sono le suggestioni. Biblioteca di tipo umanistico-conventuale, fu voluta da Novello come “tempio della cultura”, secondo il prototipo basilicale a tre navate appena introdotto a Firenze nella biblioteca dei Domenicani in S. Marco dal Michelozzo (1444), con alcuni elementi originali. La volta a botte della navata centrale verrà aggiunta solo nel 1457.
Si accede all’aula dallo splendido portale in pietra (con incisione dedicatoria in architrave e doppio stemma sopra i pilastri scanalati) attribuito ad Agostino di Duccio, impareggiabile autore dei marmi del Tempio riminese; allo stesso si devono i capitelli delle colonne dell’aula.
Sopra, il timpano in pietra con l’impresa principale dei signori, ripetuto nel riquadro soprastante, forse post-malatestiano. L’elefante, animale poderoso, intelligente e dalla lunga memoria, legato a Scipione l’Africano di cui i Malatesti si dissero discendenti, qui a Cesena è indiano. Questi reca il celebre cartiglio ELEPHAS INDVS CVLICES NON TIMET, (“L’elefante indiano non teme le zanzare”), esclusivo di Novello: di certo, un monito di autoaffermazione e prestigio verso i nemici. Alcuni hanno identificato questi avversari con i Da Polenta, signori di Ravenna fino al 1441, oppure con il fratello Sigismondo Pandolfo).

 

La porta e i simboli

La porta in noce è un capolavoro di ebanisteria, intagliata da Cristoforo da S. Giovanni in Persiceto, recante stemmi dei Malatesta. Troviamo le tre teste, forse un parto trigemino, certamente le “male-teste” delle origini poco nobili della famiglia. Le tre bande a scacchiera, forse torri di difesa, una probabile eredità di nemici sconfitti. Lo steccato, simbolo di magnanimità verso i prigionieri, verosimilmente protezione di un campo militare. La rosa selvatica quadripetala è, infine, altro segno di Scipione l’Africano.

 

Le due chiavi

Le due chiavi – una assegnata al bibliotecario dei frati, l’altra al rappresentante comunale – garantirono fin da subito un accesso regolato e una precoce sicurezza. Oggi la tradizione si perpetua, permettendo il più affascinante degli accessi nell’Aula del Nuti. Essa è a pianta rettangolare divisa in tre navate da dieci file di colonne di pietra locale bianca. Le campate sono perciò undici per lato (per antica tradizione, a causa dell’affondamento di una nave recante volumi, non fu costruita la dodicesima), con volte a crociera impostate su semicolonne in laterizio alle pareti. La navata centrale è invece voltata a botte. I capitelli hanno tutti forme diverse, con stemmi dei Malatesta.
Sotto il rosone in fondo, si trova la presunta lapide di Malatesta Novello: le ceneri, in origine nella chiesa di S. Francesco, poi demolita, e qui traslate nel 1812, sono oggi disperse. Il nome di Novello e il dono alla città (“libreria della illustrissima comunità”) (MAL(atesta) NOV(ellus) PAN(dvlphi) FIL(ivs) MAL(atestae) NEP(os) DEDIT) sono, inoltre, ripetuti nelle iscrizioni poste sul pavimento della navata centrale.

 

La luce e gli arredi

La luce nell’Aula del Nuti è assicurata esclusivamente da due finestrelle “veneziane” per campata (44 in totale), perfettamente studiate per la lettura e sostituite durante i restauri dei primi anni Venti del ‘900, curati dall’allora direttore Manlio Dazzi.
L’arredo è composto da due file ciascuna di ventinove plutei in legno di pino proveniente dalla pineta di Classe, con stemmi araldici ai lati. Custoditi nel legno e al riparo dalla luce, quasi come oggetto sacro nei banchi di un “tempio della cultura”, assicurati ad essi con catenelle di ferro battuto fatte a mano, i codici.

 

I codici

La Malatestiana contiene la summa della cultura umanistico-cristiana, con ampia copertura delle discipline dei classici – soprattutto storiografia, ma anche filosofia, poesia, geografia – e della tradizione cristiana (patristica), mentre le opere degli umanisti coevi sono rare (ma presenti, invece, nella biblioteca privata di Novello).
È ampia la dotazione di testi medici e scientifici, lascito di Giovanni di Marco, di assoluto rilievo i testi giuridici del Duecento.
I codici, dotati di coperture in cuoio ovino e pagine di pelle di capretto, presentano in vari casi miniature di gran pregio, di scuola ferrarese, bolognese, lombarda. All’eccelso Taddeo Crivelli, sono state attribuite le decorazioni del De Civitate Dei e dell’In Evangelium Johannis di S. Agostino.
I tipi di caratteri utilizzati dai copisti furono la “lettera antiqua” degli “umanistici”, tra cui il prolifico Giovanni da Epinal, Jacopo della Pergola, Giovanni da Magonza e il primo bibliotecario Francesco da Figline e la “lettera moderna” dei “gotici”, tra cui Tommaso da Utrecht e Mathias Kuhler.
La lingua in cui è redatta la maggioranza dei codici è il latino. Rappresentati anche il greco (quattordici codici) e l’ebraico (sette), mentre in volgare è il solo Dittamondo di Fazio degli Uberti (XIV secolo).

 

Un patrimonio inestimabile di cultura

Oggi i codici ospitati nell’Aula del Nuti ammontano a 343 manoscritti, cui si aggiungono 48 volumi a stampa. A seconda della provenienza, si possono individuare: un fondo conventuale, preesistente alla Malatestiana, di circa cinquanta testi di filosofia, teologia, esegesi biblica, tra cui un Etimologie di S. Isidoro del IX sec., il manoscritto più antico qui conservato; un cospicuo fondo malatestiano composto da circa 150 codici, la maggior parte prodotti dal 1446 al 1465 negli scriptoria di Novello, con opere soprattutto dei padri della Chiesa e dei classici, soprattutto gli storici, ma anche geografi, astronomi, filosofi, poeti, e pochi testi sacri in greco; il fondo originatosi con la donazione del medico Giovanni di Marco, in origine con 119 codici, poi ridottisi a 53, con testi di medicina e scienze; opere di provenienza incerta, probabilmente doni e acquisti, tra cui i sette codici del fondo ebraico; infine, le aggiunte post-malatestiane e le 48 opere a stampa, tra cui incunaboli e cinquecentine dei letterati locali, come il De honore mulierum di Benedetto da Cesena (1500), dodici codici appartenuti a Niccolò II Masini (1533-1602), le poesie di Francesco Uberti, cinque testi giuridici del XIV-XV sec. tra cui i Capitoli dell’Arte della Lana, le opere di Scipione Chiaramonti (XVII sec.).

 

Una biblioteca di transito

Sotto molti aspetti, la Biblioteca Malatestiana di Cesena può essere definita come una biblioteca “di transito”. Ciò vale, ad esempio, da un punto di vista dell’oggetto-libro, poiché la stampa a caratteri mobili veniva inventata in quel torno di tempo da Gutenberg. Ma anche dell’architettura ,che è rinascimentale, ma ancora gotica all’interno, di una tipologia a pianta basilicale di assoluta novità.

 

La Malatestiana oggi

La Biblioteca Malatestiana nel 2005 è stata inserita – primo monumento in Italia, unico in Emilia-Romagna – nel Registro “Memoria del Mondo” dell’UNESCO. A oggi, solo dieci monumenti in tutto il Paese hanno ricevuto questo riconoscimento.

La Biblioteca antica si può visitare tutti i giorni. Per motivi di tutela e di sicurezza le visite si svolgono esclusivamente con l’accompagnamento di una guida della Biblioteca.
Qui tutti i dettagli.
La visita è possibile ad ogni cambio d’ora e dura circa 45 minuti.
La prenotazione non è obbligatoria ma fortemente consigliata.